Adamo ed Eva? Hanno molto da dirci, altro che “favola”!

Risposte antiche quanto attuali sul senso dell’esistenza nell’ultimo libro di Luca Vozza

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Credo di notare una leggera flessione del senso sociale la versione scostante dell’essere umano che non aspettavo cadere su un uomo così divertente ed ingenuo da credere ancora alla favola di Adamo ed Eva.

Max Gazzè, LA FAVOLA DI ADAMO ED EVA (1998)

La bellezza dell’essere umano nonostante tutto

Sono passati due anni da quando ascoltai non senza una leggera vertigine la notizia di un radio giornale che comunicava le ultime dichiarazioni della World Health Organization sulle misure in merito alla diffusione su scala planetaria del Covid-19. Era la sera del 11 Marzo 2020. Il resto, cronaca destinata presto a prendere posto nei libri di Storia e renderci, spesso nostro malgrado, capaci in misura diversa di condividere un comune sentimento. Ci siamo trovati ad un bivio: nutrire una speranza che in quel dramma stava vivendo una maturazione più “adulta” del semplice mantra “Andrà tutto bene”, o lasciarsi andare al cinismo e alla disperazione. Ci auguravamo a vicenda “Ne usciremo migliori”, eppure ognuno sa ad oggi come abbia declinato nel proprio quotidiano questo slogan. Del resto, anche il filosofo Galimberti ha fotografato questo tempo come un’opportunità mancata di cambiamento (e osservando gli ultimi sviluppi geopolitici non riusciamo proprio a dargli torto)[1]. C’è la possibilità di poter ancora credere alla bellezza dell’essere umano al di là delle contraddizioni che hanno segnato e segnano la sua Storia?

Luca Vozza, romano, è un giovane professore di IRC che ha saputo respirare nell’aria questi interrogativi e ha cercato di rendere meno confuso l’orizzonte in cui si inseriscono. IL MISTERO DEGLI INIZI – UN PERCORSO FILOSOFICO NEI RACCONTI DI CREAZIONE, edito dalla Armando Editore e pubblicato nella tarda primavera di quest’anno, è il titolo con il quale sigilla un percorso intellettuale ed esistenziale che affonda le sue radici nella Sacra Scrittura, nel mito di Adamo ed Eva e del giardino di Eden. Un testo valido anche per i non-cattolici dato che, come ricorda il professor Luca Mazzinghi nella prefazione, “anche chi non accoglie questo presupposto di fede troverà comunque in questo libro qualche utile spunto su cui riflettere, in relazione alla nostra comune umanità, chi è poi il grande tema che sta la cuore del racconto genesiaco”. Un testo breve ma intenso, catechetico per il credente come lo è rivelatore per chi è semplicemente in ricerca di risposte su di sé e gli altri. Insieme all’autore cercheremo di capirne di più.

I racconti del Genesi sono lo specchio del nostro presente

  • Veniamo a noi. Mi chiedevo quale fosse stata l’esigenza, la “scintilla”, che ha mosso la stesura di questo libro?

È il frutto di anni di studi. I racconti di Genesi sono tra i più conosciuti di tutta la Bibbia e, per questo, tra i più travisati e abusati. Nello scoprire i significati profondi sottesi a queste pagine bibliche, ho avvertito l’esigenza di metterli in mano, mediante l’approccio divulgativo, a un pubblico quanto più ampio possibile.

  • E perché proprio la Bibbia? Che posto può avere nella ricerca di un senso della realtà (se c’è) e del “perchél’uomo? Ha dunque senso trovare un senso nel mistero degli inizi, tenendo conto che per il senso comune la teologia e la filosofia – strumenti dai quali attingi con intelligenza – sono ritenute astratte discipline lontane dal quotidiano (oserei dire “inutili”)?

Il compito di dare un senso oggettivo all’esistenza, ovvero di scoprire il senso dell’esistenza, è evidentemente affidato all’essere umano, e questo dalla Bibbia si evince. Filosofia e speculazione teologica sono inutili nella stessa misura in cui sono inutili le cosiddette lingue “morte” e la classicità in genere. Consiglio su questo punto un interessante libro di Maurizio Bettini intitolato “A che servono i Greci e i Romani?“.

  • Nel 2022, a dispetto dei progressi tecnologici e scientifici, nell’acquisizione dei diritti, di una (almeno sulla carta) maggiore consapevolezza della dignità della persona umana, scorgiamo drammaticamente come da certe scelte politiche sullo scacchiere mondiale come nei quotidiani fatti di cronaca l’uomo non sia cambiato poi molto dai tempi dell’Eden. Nulla di nuovo sotto il sole? I racconti della creazione possono dire qualcosa all’uomo secolarizzato dell’era digitale?

Nel testo genesiaco l’Eden indica anzitutto il luogo in cui Dio crea l’uomo (parliamo di Genesi 2); secondariamente verrà anche associato al giardino, nel quale Dio porrà la sua creatura. Ma fermandoci a questo primo livello di lettura, qualcuno ancor oggi potrebbe pensare che l’Eden sia stato davvero un luogo fisico. No! Al di là di dove possa essere sorto l’uomo, l’Eden è un simbolo. Simbolizza per l’israelita il passaggio dall’Egitto (la “polvere” del suolo) alla Terra promessa (il “giardino”). L’uomo allora è chiamato a “coltivare” e “custodire” il rapporto con Dio; nel libro di Tobia ciò è rappresentato dai nomi dei genitori di Sara: Raguele (lett.: “Amico di Dio”) e Edna (“Eden”). Ma dal momento che il linguaggio mitico è per sua natura universale, ecco che il Genesi si apre a una lettura squisitamente umana, non si lascia cioè circoscrivere nel particolarismo di una religione: per ogni uomo l’Eden simbolizza la propria storia, le radici, le origini. Il mistero degli inizi è quindi il mistero del mio inizio, del tuo, dell’inizio di ogni persona. E ora vengo al punto. “Nulla di nuovo sotto il sole” per il semplice fatto che i racconti genesiaci sono uno specchio per il presente. Gli autori biblici sono persone come noi; persone che però, fatti i conti con la realtà del limite umano, hanno riproiettato in un tempo primordiale, mediante la narrativa, quella che è appunto l’esperienza del presente: l’esperienza della complementarità uomo-donna, ma anche del conflitto, della sofferenza, della degenerazione, della finitudine… senza tuttavia perdere la fiducia nella bontà della creazione.

Riscoprire la propria figliolanza per aprirsi alla felicità

  • L’identità è un costrutto culturale esito di processi consolidati nel tempo o una legge inscritta nella profondità del cuore dell’uomo, come garanzia di qualcosa di “stabile”? – come ci ricordi nel libro. Nel parlare di una natura umana che ci accompagna sin dagli albori del tempo, l’uomo contemporaneo può scoprire un’opportunità o temere una minaccia lungo il cammino della Storia?

Opportunità o minaccia… be’ dipende, può essere l’una o l’altra a seconda della coscienza del singolo individuo. Vede, Pascal diceva che l’uomo non è né bestia né angelo; è infatti umano, e la complessità che ciò comporta, evidentemente, crea difficoltà anche all’uomo contemporaneo. Possiamo dire, però, parlando di natura umana, che si tratta pur sempre di un dato epistemologico (episteme, “scienza”, da stenai, “stare fermo”), cioè “stabile”. L’essere dotato di ragione fa sì che vi sia un abisso incolmabile tra l’uomo e il semplice animale. Tuttavia l’uomo, in quanto libero, può anche negare la realtà, liquefacendo, per così dire, ciò che è solido, o viceversa; è così, credo, che prenda forma la mente ideologica.

  • Il capitolo settimo ci presenta una controversa lettura antropologica di cruciale importanza sul nostro ruolo che abbiamo nel preparare un posto alle generazioni future: se non ci si riconosce figli, limitati e non autosufficienti, non possiamo essere padri o madri, ancora prima neppure “fratelli” tra di noi. A una lettura superficiale del testo sembrerebbe quasi che il “peccato originale” di Adamo ed Eva abbia favorito lo svelarsi del nostro “limite” di non essere creatori, ma creature. Una apparente ambiguità che nasconde una provocazione positiva?

Anche l’Exsultet, il preconio pasquale, a un certo punto recita (cito testualmente): «Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo». Quindi l’Exsultet sarebbe ambiguo, affermando che il peccato originale era necessario? Il fatto è che siamo ancora troppo imbevuti di una concezione terroristica di Dio: l’uomo sbaglia e Dio lo punisce; l’uomo mangia il frutto, Dio lo caccia dal giardino. Sì, Dio lo caccia dal giardino, ma non prima di averlo vestito (le tuniche di pelle). Nel mondo biblico il vestito indica l’offerta della paternità nei confronti del figlio (pensiamo alla tunica di Giuseppe, o alla parabola del padre misericordioso). Il male esiste, il mistero dell’iniquità esiste, ma non possiamo ripiegare su concezioni favolistiche – spacciandole per dati di fatto – per dar spiegazione a ciò che è, e rimane, mistero. Per capire invece quale sia l’esperienza di Adamo ed Eva al capitolo 3 di Genesi bisogna ricorrere all’analogia umana. Noi detestiamo i nostri genitori, ci sentiamo immortali e costantemente in credito d’amore con loro, finché non facciamo i conti con la nostra “nudità”, i nostri limiti, la nostra finitudine. Solo allora “apriamo gli occhi”, ossia vediamo noi stessi per quello che siamo e i nostri genitori per quello che sono: povere creature finite. E amando noi stessi nonostante la nostra miseria, al contempo assolviamo loro, perché capiamo che ci hanno amato come hanno potuto. Al contempo possiamo diventare sposi, perché solo ora siamo in grado di amare l’altro con le sue miserie, e per l’amore che abbiamo ricevuto in famiglia, possiamo a nostra volta donarci ai figli. L’esperienza di Adamo ed Eva è, da un lato, la scoperta della propria mortalità (finitudine), dall’altro, la scoperta di essere amati dal Padre nella loro miseria. Tuttavia, come dimostra il racconto genesiaco, restiamo sempre minacciati dalla realtà del male. Parafrasando l’Exsultet: Davvero era necessaria l’incarnazione del Figlio, affinché potessimo diventare pienamente umani.

Stessa sapienza, discipline diverse

  • Il testo è articolato e animato da una vivace argomentazione che attraverso le etimologie dei nomi e delle parole chiave dei testi originali offre al lettore una potente ed efficace cassetta degli attrezzi per potersi misurare con le proprie convinzioni, se non pregiudizi, su una storia comunemente relegata al mito o al catechismo parrocchiale. Un invito alla riflessione sul linguaggio e sulla sua incidenza nello strutturare per quanto possibile il mondo fuori e dentro di noi? Oggi più che mai, quanto “pensiamo quello che diciamo”?

L’ebraico rivela i significati originali, autentici e profondi che inevitabilmente sfuggono a qualsiasi traduzione. Pensiamo poco quello che diciamo perché, insieme alla grammatica e al vocabolario, stiamo perdendo sostanzialmente la capacità di dialogo (e anche il piacere del dialogo); ma questo invero l’aveva già constatato Orwell, con la descrizione della cosiddetta “neolingua”. Venendo meno la parola viene meno anche il pensiero, e quindi la facoltà di sviluppare una mente speculativa e critica. Ce lo insegnano i nostri avi Greci: il termine logos non vuol dire semplicemente “parola”, ma indica tutto quel che concerne l’attività speculativa razionale; il pensiero, appunto. E qui torno a suggerire il libro di Bettini e la ri-considerazione delle discipline umanistiche (filosofia in primis, a mio avviso).

  • Nel libro dimostra di muoversi a tuo agio anche nel mondo dei media, integrando nelle sue tesi intuizioni tratte dalle sequenze di determinati film. Ha da suggerirci qualche titolo che può aiutarci ad arricchire il viaggio di ritorno di Eden?

Un film che senza dubbio ci mostra il processo di scoperta della propria figliolanza sulla falsariga di Genesi 3 è Departures, a riprova di quanto dicevo poco fa circa il carattere universale del linguaggio mitico. Si tratta infatti di un film giapponese, ossia di un mondo in cui la Bibbia non fa parte del patrimonio culturale; un mondo totalmente altro rispetto all’Occidente cristianizzato. Eppure, il regista sembra davvero ricalcare l’esperienza di Adamo, quando il protagonista, sul finale, accosterà il sasso al grembo della moglie: solo quando scopre di essere amato dal padre può a sua volta diventare padre in senso profondo (“Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino…“, cfr. Gen 4,1).


[1] Galimberti: “La natura si è vendicata con la pandemia. E l’uomo non sta imparando niente” – Cronaca (ilgiorno.it)