No, non sarà un articolo boomer contro gli anime e manga (o semplici cartoni) di adesso.
Ma un invito, ai più giovani, di documentarsi un’opera che ai loro occhi potrebbe sembrare datata, sto parlando di: “KEN IL GUERRIERO (Hokuto no Ken – titolo originale).
L’epoca di Ken è ambientata in un “futuro” distopico (stiamo parlando di un opera del 1983) dove negli anni 90 del secolo scorso, il Mondo a seguito di una guerra nucleare, vede l’umanità che in qualche modo era sopravvissuta, regredire senza più tecnologia e civiltà, ritornare a coltivare campi e vivere di baratto e poche risorse, trasformando in maniera “fortunosa” le rovine delle grandi città in tanti piccoli villaggi.
Con la fine della civiltà, si ritorna alla “legge del più forte”.
Gli uomini deboli diventano schiavi di prepotenti assetati di potere che hanno come unico desiderio quello di sottomettere i più deboli.
Ma perché voglio parlarvi di questa storia?
“Ken il Guerriero”, non è solo “sangue e lotte violente” ma vi è molta filosofia al suo interno, ed è importante leggerla tra le righe.
Partiamo dall’impatto emotivo: non esistono le “sfere del drago”, chi non sopravvive non viene riportato in vita, e bisogna fare i conti con i personaggi scomparsi a cui non puoi non legarti per quanto siano ben strutturati.
L’anime ci mette davanti una triste verità, l’umanità è facilmente incline al servilismo e gli eroi fanno una brutta fine.
Tante persone si piegano alla volontà del potente di turno per paura, altri, sia per paura ma anche per egoismo, decidono di diventare soldati per godere di privilegi e protezione a discapito del popolo.
Tuttavia, esistono uomini forti come Ken, Toki, Rei ecc che si battono per sconfiggere i prepotenti e salvare la popolazione liberandola dalla schiavitù.
E da queste basi partono molti insegnamenti che vanno letti in chiave allegorica per capire il significato che l’opera vuole trasmetterci (sia chiaro, questa è la mia chiave di lettura, le mie conclusioni dopo aver visto/rivisto l’opera).
Ken ci insegna a non sottometterci ai potenti, ovviamente dobbiamo contestualizzare: nella realtà dobbiamo quanto più possibile di non rispondere alla violenza con altra violenza.
Non sottomettersi non significa “colpire punti di pressione” o fare a botte, a volte basta semplicemente non mostrare paura dinanzi al bulletto di turno, o semplicemente ignorarlo per capire che dinanzi a te non c’è altro che un codardo che ha paura.
È proprio dalla paura che possiamo trovare un altro spunto filosofico:
Anche il più cattivo dei cattivi, sul punto di morte, si pente.
Paura dell’ignoto? Probabile, ma c’è un fondo di verità, spesso quelli che consideriamo cattivi, sono soltanto persone infelici che non sanno gestire il dolore e fanno del male agli altri.
Ma nel mondo di Ken non vige (per fortuna) il politicamente corretto, puoi pentirti, essere perdonato, ma devi pagare per il dolore che hai causato agli altri.
Gli uomini forti piangono.
Nonostante sia un opera nata negli anni 80 del 900 dove il “maschilismo tossico” era ancora molto forte, e vi erano ancora quelle “regole non scritte” dove “l’uomo vero non deve piangere mai”, questo mito veniva sfatato.
I più grandi guerrieri (tra cui lo stesso Ken), dinanzi al dolore non temevano di mostrare le loro lacrime.
L’amicizia, l’amore, la lealtà, la protezione dei più deboli sono alla base dell’opera, quindi perché dico che devono vederla i ragazzini di oggi?
Perché i giovani non sono stupidi, e sono sicuro che saprebbero cogliere in un opera datata, che se fosse uscita adesso sarebbe massacrata dal “politicamente corretto”, i messaggi citati sopra (ce ne sono molti altri, ma avrei fatto un articolo che non finiva più e spoilerato troppo) e farli propri.
Dobbiamo essere tutti come Ken, Toki, Rei, Shu ecc, e combattere per la libertà nostra e degli oppressi, ma con un’unica e fondamentale differenza: le mani le dobbiamo tenere in tasca e non metterle addosso agli altri.