Foto di Gerarda Villano
Un ragazzo, la sua stampella e la sua storia,
nelle scuole di Salerno contro la depressione giovanile.
Si chiamava Enis, il ragazzo che una triste sera di Luglio dell’ormai lontano 2015 decise di togliersi la vita successivamente alla sua acuta e più intima depressione.
La mancanza di fiducia in sé stesso, i problemi con la scuola, gli amici… “cose da ragazzi”, dicevano gli adulti, “sciocchezze”; eppure Enis, di quelle sciocchezze, morì.
Morì sotto gli occhi indifferenti delle persone, di coloro che, fermi ad osservarlo in lacrime sui binari, ignorarono la tacita richiesta di aiuto di chi, alla vita, tentava ancora di aggrapparsi. Non ci fu nessuna parola di conforto per lui,
per quel giovane ventenne che, travolto dal treno in corsa,
morì per il suo semplice desiderio di sentirsi un essere umano; qualcuno!
Sono trascorsi svariati anni da quell’accaduto.
Le grida di dolore sono solo un lontano ricordo di giorni da dimenticare.
Enis ce l’ha fatta!
Ha vinto la sua intima battaglia contro la depressione;
si dice “risorto”, come una fenice dalle sue ceneri,
e aiutato oggi dalla sua fida stampella e armato del suo libro autobiografico,
intitolato “Diario di un ragazzo morto”, incede tra una scuola e l’altra per le vie di Salerno deciso a regalare speranza a tutti quei giovani che, troppo spaventati dal chiedere aiuto, soffrono in silenzio.
“Abbiamo paura di dimostrarci deboli agli occhi di chi amiamo”,
comincia Enis durante un incontro con i giovani del Liceo Francesco De Sanctis, avvenuto in data 10 Febbraio 2023,
“abbiamo timore di deludere le aspettative della società, degli adulti, dei nostri genitori, del loro giudizio… e così cadiamo, vittime dei nostri stessi demoni interiori”.
Questo, uno dei punti focali della sua battaglia,
in una sfida di dimensioni epocali cominciata dal basso,
con l’aiuto della propria ambizione e accompagnato dalla dottoressa e psicoterapeuta, nonché sua amica, Franca Nobile,
mosso dal desiderio di non veder più alcun giovane
dichiararsi innamorato della vita ad un passo dalla sua conclusione.
Con la sua traumatica esperienza e le tante cicatrici sul corpo,
portavoce di chi soffre lontano dagli occhi altrui,
racconta di sé, di quei giorni trascorsi in ospedale ad osservare il bianco soffitto in un limbo fatto di incoscienza, domande, dolore, paure.
In quell’ospedale dove ha compreso quanto il cielo azzurro fosse stato sempre meraviglioso, quanto le persone potessero donare,
quanto un sorriso potesse migliorare la giornata di qualcuno e,
soprattutto, quanto le sue stesse parole avrebbero potuto aiutare.
“Che questa sia la prima di una infinita sequela di storie meravigliose da raccontare. Che questa, sia l’ultima storia di un ragazzo vittima del suo stesso dolore.
Che questa, sia la prova per tutti che la vita ha sempre tanto di bello ancora da mostrare!”