“No Cap” è un’associazione nata nel 2011 su iniziativa di Yvan Sagnet (attualmente il presidente) per contrastare il “caporalato” in agricoltura e favorire la diffusione dei diritti umani, sociali e dell’ambiente. In questi anni si è impegnata a costruire una rete che, dalla produzione alla distribuzione, diffonda dignità e rispetto.
Poche associazioni hanno un nome che, in poche lettere, riesca a diffondere un messaggio così potente come ha fatto in questi anni, a partire dal 2011 (anno della fondazione ad opera di Yvan Sagnet e di professionisti di diversa formazione e competenza), “No Cap”. In quest’articolo, scritto a distanza di settimane dalla chiacchierata avuta con Yvan Sagnet, si parla della rete costruita da “No Cap” in Piana del Sele insieme a tante altre organizzazioni e, in generale, delle dinamiche che avvengono all’interno della filiera agricola del mezzogiorno (ma non solo).
Come mi ha detto lo stesso Yvan Sagnet: “L’obiettivo è creare un’alleanza che parta dal bracciante e arrivi fino alla grande distribuzione e ai supermercati”.
Buona lettura!
Come si chiama il progetto? E che portata ha?
Yvan Sagnet: “Non vogliamo mettere etichette. Per questo parliamo di “Progetto sulla filiera etica”. Concretamente è promosso dall’associazione “No Cap”, dall’associazione di promozione sociale Frontiera Sud, dall’Arcidiocesi di Salerno Campagna Acerno, dalla Caritas, dalla fondazione Migrantes di Salerno, dalla Caritas di Teggiano-Policastro e dalla Cooperativa Falcone e Borsellino di Campolongo. L’obiettivo è promuovere, nella Piana del Sele, la cultura della legalità e dei diritti dei lavoratori.
Vogliamo partire in tal senso da una dimensione sociale: daremo una casa in affitto a lavoratori “liberati” dalle dinamiche di caporalato. Questa struttura, messa a disposizione dalla Diocesi di Salerno, sarà in centro a Eboli e non più a Campolongo dove i ragazzi venivano controllati e sfruttati.
Abbiamo poi messo un furgone a disposizione che consentirà di raggiungere l’azienda dove lavorerrano: il tema del trasporto nel mondo agricolo è un tema importante perché permette di dare sicurezza e libertà negli spostamenti dalla città alla campagna”.
Quali sono le altre funzioni del progetto?
Yvan Sagnet: “Il progetto ha tante funzioni. Per quanto riguarda l’aspetto dell’inserimento lavorativo, ha due funzioni specifiche. Come prima cosa, dare un lavoro dignitoso e un’alternativa allo sfruttamento al quale tanti sono abituati. Provare a far capire che c’è un lavoro diverso, affrontare il tema del lavoro da una diversa prospettiva.
Come secondo aspetto, quello dell’inserimento lavorativo ha come obiettivo la formazione di una classe sindacale tra i lavoratori, allo scopo di diffondere la conoscenza dei diritti di base. Lo scopo è promuovere una “cultura della legalità” all’interno delle aziende e formare dei “guardiani dei diritti” che riferiranno delle condizioni di lavoro e di possibili problemi in termini di violazione dei diritti e di rispetto di umanità e dignità”.
Nel concreto?
Yvan Sagnet: “Visto che fungiamo da tramite per l’inserimento lavorativo all’interno delle aziende, chiediamo a lavoratori e lavoratrici di riferirci sulle effettive ore di lavoro, sui comportamenti dell’azienda e sulla violazione dei diritti, sull’effettiva congruenza tra busta paga e pagamento, sui comportamenti dei capi squadra, sulla sicurezza sul posto di lavoro.
Quando ci saranno problemi, intereverremo in prima persona. Si tratta di un monitoraggio continuo e sistematico all’interno dell’azienda. Anche perché è difficile capire da un semplice controllo, come fa l’ispettorato del lavoro, se le aziende con le quali collaboriamo rispettano i patti del progetto e si comportano bene. Con il nostro modo di fare, monitoriamo quotidianamente le aziende e vigiliamo sul rispetto dei diritti”.
Abbiamo parlato della dimensione sociale e della questione lavoro, ci sono altre dimensioni in gioco?
Certamente. Altra dimensione è quella della sostenibilità economica del progetto che va di pari passo con quella sociale e ambientale. Nel pacchetto che proponiamo c’è un sostegno alle imprese agricole. La conduzione nel mezzogiorno, in Italia e nel mondo è andata peggiorando negli ultimi 30/40 anni perché il tema dell’agricoltura è un tema di sistema e cosi va trattato. Le multinazionali nel settore agricolo, in particolare la grande distribuzione organizzata (i supermercati per far capire), dettano le regole del mercato a loro beneficio e a discapito di tutti gli altri attori della filiera produttiva.
Per esempio: se il prezzo del pomodoro è basso (quest’anno sarà di 0,10 centesimi al kg), è chiaro che il contadino produttore di pomodoro a Foggia non ce la farà mai a sostenere altre spese. Perché se il prezzo è così basso, è chiaro che l’agricoltore non ha interessa a produrre. Un po’ come è successo un paio d’anni fa in Sardegna con i pastori sardi che preferivano buttare il latte e non venderlo alla misera cifra di 0,60 centesimi al litro. Se trovate al supermercato un prodotto che costa 0,30 centesimo al kg è chiaro che è il prodotto di un lavoro fatto di schiavismo.
Cosa si potrebbe fare in merito?
Molto semplicemente, il prezzo deve farlo chi produce e non chi compra. Chi produce non può subire le scelte dall’alto, ma fare lui il prezzo in modo da rientrare con le spese. Deve pagare il lavoro, gli strumenti, il trasporto. Il sistema così come è, fa sì che gli agricoltori scarichino questa impotenza su chi lavora, togliendo diritti e abbassando vertiginosamente i salari. Siamo di fronte ad un sistema di sfruttamento a catena. Credo che dovremmo parlare di questa: è necessario parlare del sistema ultraliberista e ultracapitalista che ha dato potere ai supermercati e alle multinazionali.
Come si muove, in tal senso, il progetto che avete messo in piedi?
Noi abbiamo un marchio (“No Cap”) che è presente nei supermercati. “No Cap” è un’alleanza tra i braccianti, i produttori, i supermercati e i consumatori. Vogliamo parlare sopratutto con i consumatori perché hanno un potere enorme che non sanno di avere. Il fatto di andare in un supermercato e comprare un prodotto “sano” con consapevolezza è un grande atto. Chiedersi “chi produce questo prodotto?”, “da dove viene?”, “come è prodotto?” permette a chi compra di cambiare, nel suo piccolo, un sistema ingiusto.
Come riconosco che un prodotto viene dalla rete promossa da “No Cap”?
Visto che molti consumatori hanno difficoltà ad avere quella consapevolezza di cui parlavo prima, abbiamo prodotto un bollino “No Cap” che certifica la provenienza di ciò che si acquista. Nei nostri prodotti c’è la qualità del lavoro, il rispetto dell’ambiente e la dignità umana. Ciò che facciamo noi, una volta presi accordi con un’azienda, è farli entrare anche in contatto con la grande distribuzione a patto che rispettino tutti i diritti dei lavoratori. C’è uno scambio economico e sociale: noi permettiamo a queste aziende, tramite il nostro marchio, di entrare in un mercato nel quale loro hanno un profitto maggiore.
Come vi rapportate con la grande distribuzione e i supermercati?
Quando ci contatta un supermercato che vuole entrare nella rete “No Cap”, facciamo presente a chi ci contatta quali sono le nostre “regole”. In primis, il prezzo deve essere fatto con la partecipazione di chi produce. Se accettano questo principio, partono i rapporti. Se vuoi vendere i prodotti “No Cap”, che hanno anche una certa visbilità e appettibilità per i consumatori, devi avere un prezzo sostenibile per il produttore che deve affrontare una serie di spese. Al tempo stesso, come supermercato, devi garantire un’adeguata comunicazione rispetto alla provenienza e al senso del prodotto con marchio “No cap”. Ovviamnente non riusciamo a trovare un accordo sempre e non su tutti i prodotti: in quel caso si passa avanti e si continua a lavorare per portare avanti un progetto fatto di sostenibilità economica, sociale e ambientale.